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Una visita da molto lontano: con sorpresa finale.

 

Ci piace molto incontrare chi ci raggiunge tramite il sito, spesso  questo processo comporta una sorta di selezione, ci raggiunge chi è un/una, più spesso una coppia di viaggiatori/esploratori, curiosi ed aperti al nuovo: Per raggiungerci devono seguire le istruzioni scritte nel nostro sito www.terradibargon.com, compilare un modulo, orientarsi in un mondo nuovo e scarso di segnaletica che li possa aiutare. Sentiero, path possono risultare concetti assai vaghi.

Per Lora e Zach non è stato facile trovarci, in altri casi  è invece stato molto semplice. Poi, quando  inizia il contatto con il territorio,  una immersione totale nelle nelle vigne, dall’incontro nascono spesso profondi scambi fra il nostro racconto, le reazioni di chi ci visita ed anche molto altro. Scambi fra culture diverse che dialogano con curiosità,

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Per esempio oggi abbiamo incontrato Lora e Zach, che arrivano da Newfound la parte più ad est del Canada, nell’isola a St John.

 

 

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Poi ci siamo trasferiti in cantina. Durante la proiezione della sequenza di foto che illustra il ciclo di produzione dello Sciacchetrà, esclamo con disappunto che avrei una versione più aggiornata, peccato che l’ipad non si connetta con la TV.

E qui succede l’imprevedibile, Zac dice: mah… forse potrei provare, per il lavoro che faccio… detto fatto comincia a smanettare dolcemente e sblocca con semplicità l’impedimento  fra i due dispositivi!

Eccolo qui sotto che spiega a Roberto come far funzionare questo connubio, i due dispositivi, ci dice, devono stringersi la mano, altrimenti non si riconoscono in quato l’ipad è molto vecchio. Il sapere dell’esperienza antica del contadino si incontra con il know how di chi usa i media con naturalezza, non saprei come altrimenti descrivere la relazione di Zach con il problema che avevamo incontrato. Lo scambio è galvanizzante, un reciproco apprendimento.

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Segnali artistici di un cambiamento avvenuto.

Il ri-uso è una caratteristica della cultura ligure, Francesco, un0 dei fratello di Roberto, interpreta il ri-uso di quanto arriva a Bargòn, cioè  molto di quanto non viene più usato, ed anche altro, in una forma artistica. Osservando questi manufatti,  sorta di “collage” all’aria aperta, semplicemente identificando le  componenti che li compongono, è possibile intuire un loro significato e forse un racconto di vita.

Nella prima foto qui sotto: una nassa,  materialmente fatta da Giancarlo, un altro fratello,  che serviva per la pesca di saraghi, polpi , aragoste  quando i fratelli andavano apescare. Oltre ad appenderla al muretto di sassi, Francesco vi ha inserito  delle conchiglie.

Si potrebbe dire che  l’uso della nassa si è trasformato simbolicamente da strumento di pesca a contenitore di “contenitori di pesce”,  di molluschi. Ed anche, in un certo senso, i gusci sono  sassi che sono stati giustapposti  ai sassi del muretto.

Si allude forse ad un uso della nassa che i tanti nipotini di una famiglia numerosa che passano talvolta da Bargòn forse non impareranno dai loro genitori, una sorta di racconto?
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Nella seconda foto alcune reti di ferro verde sono state usate per esporre vari oggetti di mare. In zona centrale un salvagente di ordinanza da barca, a destra  un paraurti marino con sotto un motore da barca ed a sinistra  un altro oggetto del mare, però antico.

Possibile metafora: la rete appoggia sul muretto di sassi, la barca va sul mare, due tipi di attività importanti  di una volta alle Cinque Terre, una natura difficile , ma anche con tante possibilità: lavorare la terra e pescare.

Improvvisamente tutto è cambiato, quella sui muretti di sassi è quasi una ritirata da una realtà odierna; forse dalla marina, oggi del tutto irriconoscibile per chi ha vissuto questa cultura operosa tutta la vita.

 

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Svettano in cielo anzichè in mare aperto, i due “segnali” in sughero per reti o per palamiti che sono stati usati quando i fratelli  andavano a pescare. Con relativa badierina bianca.

“Segnalano” , proprio perchè sono in cielo anzichè in mare,  il cambiamento che è avvenuto.

 

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Infine un abbeveratoio arcaico trovato nel bosco da Gianfranco, contadino poeta, altro fratello, sempre alla ricerca di cose vecchie ed abbandonate.  Francesco lo ha collocato accanto ai cerchi delle botti di una volta che ha ri-usato come  rinforzo alla staccionata in legno. Entrambi tracce di una cultura contadina che ha lasciato un segno indelebile, benchè parzialmente nascosto, dalla macchia mediterranea, cioè i terrazzamenti. I ciàn nel dialetto di Riomaggiore.

Di questa cultura, però non si salvaguardia la memoria, fatta anche di piccoli e fragili oggetti, che diventa quindi anche “cultura debole” di cui sarebbe dunque necessario prendersi cura.

Dentro questa “cultura debole”, però ci sono importanti conoscenze e know how di tipo idraulico, ingegneristico, fondamentali per la salvaguardia di questo territorio, fragile, da integrare con quella degli esperti che oggi se ne occupano.

Invece, semplicemente questa cultura operosa e sapiente viene dimenticata in quanto non se ne riesce a ricoscere il profondo valore, il “sapere dell’esperienza”.

Purtroppo, spesso, anche con le migliori intenzioni, “gli esperti” fanno danni se non  possono incrociare il loro sapere teorico con il sapere esperienziale, in questo caso, secolare.

Ed allora bandiera bianca.

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 Il salvagente è stato ri-utilizzato, forse per altre allegorie, ed allora Francesco ha rapidamente ri-elaborato creativamente lo spazio della griglia verde. Bandiere colorate nei “segnali” in sughero che diventano adesso tre.

   
   

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Degustare lo Sciacchetrà, gli abbinamenti possibili.

Tradizionalmente lo Sciacchetrà, che fino a non molto poco tempo fa si chiamava “renfurzà”  veniva prodotto in modeste quantità da quasi tutte le famiglie. Si beveva solo in occasoni speciali di festa come il Natale o per i matrimoni e i battesimi. Inoltre era considerato  importante farne dono a dottori ed avvocati.

Si beveva alla fine del pasto con il pan dolce genovese.

Oggi i somellier ci insegnano associazioni di gusto più contrastate,  di particolare interesse l’accostamento con il formaggio erborinato di capra o con le noci.

 

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Un’attività corale in cantina: si imbottiglia.

Siamo alla conclusione del ciclo di produzione, che mai si ferma e che continuamente si rinnova per arrivare a produrre lo Sciacchetrà: l’imbottigliamento si svolge dopo l’affinamento dello Sciacchetrà sui propri lieviti  per almeno 20 mesi nelle botti d’acciaio.
E’ una fase corale quella che si ripete nella piccola cantina in via Gramsci, oltre a Francesco, il più assiduo dei fratelli ad aiutare Roberto nelle fasi che lo richiedono, ci sono Gianfranco il nostro prezioso enologo e Sergio l’esperto di “macchinari”.

Mani amiche che insieme si coordinano per svolgere al meglio una fase molto delicata dell’intero ciclo di produzione.
Occorre coordinare il flusso del passaggio dello Sciacchetrà dalle botti ai filtri ed infine all’imbottigliatrice. I filtri vanno  prima puliti e risciacquati, poi si imbottiglia, si  tappare e si stoccano le bottiglie  nelle apposite gabbie d’acciaio.

 

Roberto e Gianfranco enologo


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