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Prendere coscienza del proprio territorio.

Andando a fare un giro nei ciàn (i terrazzamenti in dialetto) di Semura, una  attività costante di monitoraggio che svolge chi coltiva la terra,  abbiamo notato due cambiamenti recenti nel paesaggio. Si sono verificati  nei muretti di due diversi contesti fra loro vicini. Da questa prima osservazione sono  nate due riflessioni, cui fa seguito una proposta alla fine del post.

Il primo cambiamento è relativo ad un muretto a secco di contenimento delle vigne,  assediato  dalla macchia mediterranea, che  è crollato, probabilmente a causa della grande quantità di pioggia di questo strano inverno.

PRIMA: questo muretto, dopo essere stato pulito da Roberto era così

IMG_6463 DOPO:  non molto tempo fa, il muretto  è crollato sull’angolo e, nella parte ancora intonsa è ricresciuta  nuova vegetazione.IMG_7097

Da vicino si vede bene la quantità di lavoro che sarà necessaria per ricostruire il pezzo di muretto che è crollato..

IMG_7104

 

Ma intanto, guardando di fronte a noi, verso il mare, abbiamo notato un secondo, piccolo ma molto significativo, cambiamento nei muretti che sono invece i resti di antiche case in pietra.

PRIMA  (di recente) quel pezzo di  paesaggio era così  in quanto quel terreno, caratterizzato dalla presenza di muretti in pietra sia di contenimento che portanti di antichi rustici, era stato ripulito dalla macchia mediterranea che lo aveva invaso. E’ dunque stato possibile vederlo quasi fosse uno scavo archeologico, diventato così un pezzo di archeologia contadina.

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Colpisce la bellezza di quei resti di pietra nel  paesaggio, tracce inequivocabili di un tempo passato, una preziosa testimonianza, un monumento della memoria contadina di queste terre.

 

mantenimento, memoria

Da questa foto è nata una prima riflessione, si è capito che l’osservazione dello stato fisico e dell’uso sociale del territorio può contenere uno o più racconti. In questo caso è il racconto di quattro processi in atto contemporaneamente, appena  prima che se ne avii un quinto.

In primo piano, il racconto di un lavoro di mantenimento del paesaggio che avviene con  la coltivazione tradizionale di una vigna “a pergolo”. Nello sfondo il racconto, in divenire, di una traccia di memoria in pietra  che emerge dalla boscaglia da cui è appena stata estratta.  Il tutto  inserito in una cornice di macchia mediterranea che continua a svilupparsi  nascondendo mano a mano  la trama esistente dei ciàn. Ciàn che  una volta erano tutti coltivati ed ora sono stati abbandonati da tempo, insieme  ad altri manufatti in pietra: questo è il racconto dell’abbandono della terra.

In alto all’estrema sinistra, un quarto racconto, abbastanza recente.  Guardando con attenzione  si può notare un pezzo di un grosso ciàn  coltivato non più “a pergolo”, ma a filare. Si capisce dalla regolarità della trama della vigna. E’ il racconto di  un cambiamento volto a mantenere  la coltivazione della vigna, rendendone però più facile la  coltivazione per il contadino.

 

 

segni forti della memoria

Sul primo racconto, quello della coltivazione nel solco della tradizione, sia il sito  che questo blog, che lo aggiorna, raccontano in dettaglio le varie fasi del ciclo di produzione dello Sciacchetrà che ancora oggi Roberto segue nel solco della tradizione. Per quanto riguarda il secondo racconto, è stato possibile un avvicinamento ai resti in pietra, grazie ad un  lungo un sentiero,  tutto dentro la macchia mediterranea. Percorrerlo è stata un’esperienza quasi magica,  camminare su un percorso di pietre formidabile per dimensione e per perizia, che allude ad un uso umano cospicuo; invece siamo soli, completamente immersi in una silenziosa e potente natura, odorosa di salmastro e di erbe selvatiche. Anche il sentiero è appena stato ripulito, sottratto alla vegetazione e reso percorribile.  Siamo così giunti fino alla trama forte costituita dai  muretti in pietra, armonicamente incarnata nel declivio del terreno. Ci siamo trovati in contatto fisico ravvicinato con la memoria  che inevitabilmente questi sassi evocano, sperimentando un’ emozione  forte mista ad  ammirazione e rispetto verso le generazioni che ci hanno preceduto.

Un monumento alla fatica,  alla tenacia e ad una grande capacità di ingegneria idraulica e civile.

una casetta in pietra

Così abbiamo anche potuto vedere da vicino  questa meraviglia di proporzioni, la straordinaria capacità di utilizzo dell’unico materiale disponibile, la pietra ed i sassi,  l’armonioso  inserimento nel paesaggio.

Ii cambiamenti in corso

Ma ecco, qualche tempo dopo  il quinto cambiamento che si palesa.

Un cambiamento che è in corso, un segnale apparentemente modesto, ma che racconta di un cambiamento che sarà certamente  significativo. La pulizia di quel terreno che ha fatto emergere   tracciati in pietra così forti e la rimessa in uso  del sentiero per raggiungerlo, sono state opera di chi ha deciso di recuperare i rustici esistenti, certamente in ottemperanza alle indicazioni della commissione paesaggistica.

La seconda riflessione,  nasce da questa esperienza diretta,  è la constatazione che  questa comunità locale e le sue istituzioni non sono riuscite, nel tempo, a elaborare una strategia evolutiva per il governo di questo straordinario territorio. La sfida è quella di rilanciare  l’attività primaria della coltivazione delle vigne (pur nelle modaltà oggi più consone, meno faticose e adeguatamente remunerative). Ma potrebbe anche essere quella di  progettare  un riuso dei rustici più significativi  per  salvaguardare e valorizzare la memoria di un passato fatto di fatica e portatore di una cultura del lavoro. Per creare luoghi di sosta lontani dalla congestione che si viene a creare, al contempo ricchi di informazioni e di suggestioni. Un progetto  con una visione d’insieme per raggiungere anche visitatori curiosi,  che oggi arrivano in massa in gran parte attratti dal “mito” di questo passato che però non è materialmente molto fruibile.

La proposta.

Il paesaggio  alle Cinque Terre, come altrove, cambia continuamente senza che  ne siamo pienamente  consapevoli, e con esso la memoria della sua cultura contadina.

La costituzione di un ecomuseo rurale sarebbe un buon modo per non perdere completamente i segni sul territorio di questa memoria così importante e al contempo così fragile. Così come Sebastiao Salgado stà fotografando le popolazioni che vivono nei posti più nascosti del mondo, destinate a sparire, per lasciarne una traccia almeno fotografica per l’umanità, così bisognerebbe documentare almeno gli ultimi  segni che restano sul territorio di questa civiltà contadina oggi in via di estinzione.

Un progetto di ecomuseo esperienziale, aperto che si alimenta  e si sviluppa con il contributo diretto degli abitanti delle Cinque Terre,  secondo la moderna concezione  di museo “diffuso” mirato sopratutto ai giovani. Per la realizzazione di ecomusei, esistono  linee guida europee ed anche leggi prodotte da alcune regioni taliane. Ci sono esperienze di vario tipo. Risulta interessante a nostro avviso  la metodologia  anche di altre esperienze in corso pur se queste non sono necessariamente rurali.

Oggi alle Cinque Terre prendere coscienza del proprio territorio significa frequentarlo, conoscerlo, ripensarlo con creatività.  Quello che una volta era il centro dell’attività lavorativa è oggi paragonabile ad una periferia urbana  nel senso della perdita di significato sociale, un luogo non vissuto. L’archeologia contadina, che nei ciàn è dispersa, può essere paragonata alll’archeologia industriale,  entrambe  fanno riferimento ad una cultura del lavoro che sembrerebbe destinata ad estinguersi.   Rappresentano  una tappa importante dello  sviluppo del nostro Paese, esprimono valori materiali ed immateriali,  come tali vanno tutelati e valorizzati.

 

 

8 pensieri su “Prendere coscienza del proprio territorio.

  1. Cara Alessandra. La tua idea è meravigliosa come sempre. Son rimasto stupito dalle foto di Semura….non credevo che a Semura ci fossero ancora cian coltivati. Almeno 8 anni fa mi inoltrai sul sentiero che da Semura conduceva a vu da sera per andare a vedere dei cian che il nonno di un amica aveva deciso di abbandonare due anni prima perchè ormai alle soglie dei 90 anni…sceso di una decina di metri dal livello della strada litoranea dovetti tirar fuori il falcino e riuscii ad arrivare al rustico e ai cian che cercavo (circa 100 metri di strada) in 15 minuti di lotta contro la macchia mediterranea…i cian e la casetta erano in ottimo stato ma dovetti desistere dall’idea di recuperare il terreno perchè non c’era acqua (il tubo passava molto molto sopra) ed era l’unico cian coltivabile e quindi avrei dovuto da solo lottare contro la macchia…mi piacerebbe provare a tornarci perchè secondo me quella zona di semura ben si adatterebbe ad un recupero per riportare fuori vecchie terrazze o per un ecomuseo…ovviamente ci vorrebbe un aiuto esterno (del Parco mi vien da pensare)..comunque credo che ,ben vengano i recuperi dovuti all’acquisto di rustichetti ormai divorati dalla macchia, ma il nostro territorio ha bisogno di altro e ne abbiamo bisogno anche noi…abbiamo bisogno di recuperare la visione dei vecchi ci aiuterebbe anch a recuperare certi valori che ci asiamo persi…ti abbraccio…il tuo solito, confusionario…Marco

  2. Cara Alessandra la nostra è una amicizia di una vita, ma oggi è intensa : si è aperto un dialogo e un confronto bellissimo tra noi . Nel racconto del tuo blog , certo c’ è il desiderio di raccontare la civiltà delle 5 terre ma c’e’ tanto delle nostre attuali riflessioni circa i possibili approcci interpretativi di una moderna concezione di un museo del territorio .
    Ti ho coinvolto , nella tua seconda vita milanese, nella vicenda di Museolab6 un laboratorio urbano che possa creare un possibile eco-museo a MI , un luogo di cultura dove al centro ci sia la cura dei cittadini dei beni culturali ( materiali e immateriali ) nel territorio dove essi vivono e lavorano.
    Tu attenta , sensibile , curiosa , poliedrica, non solo mi hai aiutato e mi aiuti su tutti i fattori comunicativi di Museolab6 ( informare, coinvolgere e interagire ) ma in questi mesi hai rafforzato una tua versione “altra” per interpretare e ripensare la vita e il lavoro nelle 5 terre . Bella la nostra contaminazione di idee !!
    Ma ancora più interessante è la tua sperimentazione su come raccontare nel blog tanti piani di riflessioni partendo dai ” cian” . E’ una indicazione metodologica importante : l’osservazione e l’ interpretazione del ciclo di vita di un manufatto costitutivi del paesaggio ( i muretti , l tracciati di pietra ) evocano non solo memorie e testimonianze di lavoro contadino ma consentono di prospettare idee evolutive per un futuro che possa essere compatibile sia con le esigenze di tutela di una identità di una comunità sia con forme di lavoro creativo .
    l’archeologia rurale nelle 5 terre è un contenitore ancora in parte vivo ( vedi roberto che cura le viti e i cian ) l’archeologia industriale e’ uno luogo fisico abbandonato e orfano dal lavoro di fabbrica del 900 , Un luogo di memorie da evocare e ricordare in cerca di altre fruizioni e significati . Ci sono grandi aspetti di differenza
    Viene da pensare che un progetto eco-museo 5 terre, a patto che abitanti e istituzioni cerchino di comprendere la necessità di nuovi paradigmi di tutela e di lavoro , avrebbe condizioni “facili” . Anelisa

  3. Ciao Alessandra, quanto dici può essere solo condiviso. prendere coscienza del proprio territorio, dell’archeologia rurale delle 5 terre, significa tornare alle ragioni che hanno portato al riconoscimento del nostro territorio come Patrimonio Mondiale Dell’umanità.
    Allo stato abbiamo solo assistito a restauri colorati, ad aumenti di volumi, al trasporto di enormi frigoriferi da collocare all’interno delle minuscole casupole contadine ecc.. Con i prossimo PSR cercheremo di portare l’attenzione su interventi di consolidamento del territorio sui canali e attorno ai paesi. Quello che osservi tu va ben oltre, è bellezza, economia, arte. Parli di futuro. Grazie Luciano

  4. Un bellissimo post, ricco di spunti, idee e riflessioni.
    Il testo e le foto descrivono in modo poetico ma anche dettagliato una situazione locale importante e poco conosciuta. Le proposte sono interessanti, speriamo che si trasformino in realtà.
    Sono contento che lo strumento del blog aiuti il processo.

  5. Parlare di futuro significa certamente occuparsi di “interventi di consolidamento del territorio sui canali ed attorno ai paesi.” Un obiettivo ulteriore potrebbe essere quello di riuscire a farlo in coerenza con la tradizione della cultura contadina locale, che è stata cultura dell’autocostruzione, inclusa la capacità di risolverei problemi idraulici funzionali al mantenimento dell’assetto del territorio da coltivare. Quella cultura, che è stata per necessità minimalista, ha potuto proprio nelle soluzioni quasi esclusivamente funzionali trovare il suo linguaggio formale. Dunque è durante una fase economica poverissima che si sono realizzati interventi sul paesaggio di grande bellezza.
    Oggi un tema decisivo per la salvaguardia di questa bellezza ereditata è la capacità di intervenire nell’assetto esistente declinando con consapevolezza negli interventi manutentivi quegli stessi canoni. Una sfida culturale straordinaria!

  6. Ciao Alessandra,
    metti in evidenza un argomento che è molto importante per tutti noi che viviamo alle cinqueterre, in tanti abbiamo imparato a recitare come un “matra” salvaguardia e tutela, un po’ meno son quelli che si impegnano facendo qualcosa.
    Quanto il nostro paesaggio sia unico e si scolpisce nei ricordi di chi lo osserva, fissandosi nella memoria di ognuno, lo si capisce bene, quando, percorrendo la strada litoranea si arriva da La Spezia in auto in direzione di Riomaggiore dopo la galleria di Biassa e oltrepassate le prime curve, si viene travolti dal paesaggio.
    Paesaggio, che offre così all’improvviso uno scorcio intenso di mare, cielo e quel che rimane di terrazzamenti un tempo coltivati da mare a monti, oggi poco curati e a macchia di leopardo.
    Anche se i campi coltivati sono pochi, l’impatto visivo è comunque unico, perché l’impressione di un paesaggio selvaggio, duro, faticoso, un tempo domato e costruito dall’uomo, resta ancora vivo; anche se oggi non è più così.
    Un turista che ci visita, cerca il fascino di vivere in un territorio fuori dal tempo, così veniamo vissuti e così ci vedono, ma è solo una fantasia, di vero c’è poco.
    Si, abbiamo angoli nei paesi molto suggestivi, tramonti da sogno, scorci che ricordano la favola del Machu Picchu Peruviano, la Via dell’Amore, il mare, abbiamo tanto, siamo molto fortunati, ma non basta, non basta perché è tutto costruito dall’uomo e a misura d’uomo e quindi di difficile mantenimento.
    L’idea dell’ecomuseo può essere una nuova strada che ci può aiutare a prevedere il futuro recuperando usi, costumi, tradizioni e vita passate e del nostro passato.
    Noi, come anche chi ha già vissuto alle cinqueterre, abbiamo un’incombenza che va tenuta in considerazione, perché rappresenta l’essenza del territorio stesso, ed è la sua manutenzione; Il nostro territorio va continuamente ricostruito, se non lo si fa muore, con chi ci vive sopra.
    Ed è una verità affermare che un territorio è vivo se c’è la presenza dell’uomo, senza, non c’è vita; e se l’uomo non si occupa del territorio, entrambi si spegneranno territorio e chi lo vive. Bernardo.

  7. Ciao Alessandra,
    metti in evidenza un argomento che è molto importante per tutti noi che viviamo alle cinqueterre, in tanti abbiamo imparato a recitare come un “matra” salvaguardia e tutela, un po’ meno son quelli che si impegnano facendo qualcosa.
    Quanto il nostro paesaggio sia unico e si scolpisce nei ricordi di chi lo osserva, fissandosi nella memoria di ognuno, lo si capisce bene, quando, percorrendo la strada litoranea si arriva da La Spezia in auto in direzione di Riomaggiore dopo la galleria di Biassa e oltrepassate le prime curve, si viene travolti dal paesaggio.
    Paesaggio, che offre così all’improvviso uno scorcio intenso di mare, cielo e quel che rimane di terrazzamenti un tempo coltivati da mare a monti, oggi poco curati e a macchia di leopardo.
    Anche se i campi coltivati sono pochi, l’impatto visivo è comunque unico, perché l’impressione di un paesaggio selvaggio, duro, faticoso, un tempo domato e costruito dall’uomo, resta ancora vivo; anche se oggi non è più così.
    Un turista che ci visita, cerca il fascino di vivere in un territorio fuori dal tempo, così veniamo vissuti e così ci vedono, ma è solo una fantasia, di vero c’è poco.
    Si, abbiamo angoli nei paesi molto suggestivi, tramonti da sogno, scorci che ricordano la favola del Machu Picchu Peruviano, la Via dell’Amore, il mare, abbiamo tanto, siamo molto fortunati, ma non basta, non basta perché è tutto costruito dall’uomo e a misura d’uomo e quindi di difficile mantenimento.
    L’idea dell’ecomuseo può essere una nuova strada che ci può aiutare a prevedere il futuro recuperando usi, costumi, tradizioni e vita passate e del nostro passato.
    Noi, come anche chi ha già vissuto alle cinqueterre, abbiamo un’incombenza che va tenuta in considerazione, perché rappresenta l’essenza del territorio stesso, ed è la sua manutenzione; Il nostro territorio va continuamente ricostruito, se non lo si fa muore, con chi ci vive sopra.
    Ed è una verità affermare che un territorio è vivo se c’è la presenza dell’uomo, senza, non c’è vita; e se l’uomo non si occupa del territorio, entrambi si spegneranno territorio e chi lo vive. Bernardo.

  8. Cara Alessandra, come si può non essere d’accordo…come sai questi luoghi per me sono radici e capisco bene la passione che possono suscitare, il paesaggio e la storia della fatica umana, i profumi della natura e i sapori… Penso che ritrovare il senso collettivo di un rilancio oltre le delusioni di un progetto fallito per l’insipienza o peggio di alcuni, sarebbe giusto, se vuoi, per quello che posso, io ci sono, militantemente! Rita

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