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Segnali artistici di un cambiamento avvenuto.

Il ri-uso è una caratteristica della cultura ligure, Francesco, un0 dei fratello di Roberto, interpreta il ri-uso di quanto arriva a Bargòn, cioè  molto di quanto non viene più usato, ed anche altro, in una forma artistica. Osservando questi manufatti,  sorta di “collage” all’aria aperta, semplicemente identificando le  componenti che li compongono, è possibile intuire un loro significato e forse un racconto di vita.

Nella prima foto qui sotto: una nassa,  materialmente fatta da Giancarlo, un altro fratello,  che serviva per la pesca di saraghi, polpi , aragoste  quando i fratelli andavano apescare. Oltre ad appenderla al muretto di sassi, Francesco vi ha inserito  delle conchiglie.

Si potrebbe dire che  l’uso della nassa si è trasformato simbolicamente da strumento di pesca a contenitore di “contenitori di pesce”,  di molluschi. Ed anche, in un certo senso, i gusci sono  sassi che sono stati giustapposti  ai sassi del muretto.

Si allude forse ad un uso della nassa che i tanti nipotini di una famiglia numerosa che passano talvolta da Bargòn forse non impareranno dai loro genitori, una sorta di racconto?
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Nella seconda foto alcune reti di ferro verde sono state usate per esporre vari oggetti di mare. In zona centrale un salvagente di ordinanza da barca, a destra  un paraurti marino con sotto un motore da barca ed a sinistra  un altro oggetto del mare, però antico.

Possibile metafora: la rete appoggia sul muretto di sassi, la barca va sul mare, due tipi di attività importanti  di una volta alle Cinque Terre, una natura difficile , ma anche con tante possibilità: lavorare la terra e pescare.

Improvvisamente tutto è cambiato, quella sui muretti di sassi è quasi una ritirata da una realtà odierna; forse dalla marina, oggi del tutto irriconoscibile per chi ha vissuto questa cultura operosa tutta la vita.

 

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Svettano in cielo anzichè in mare aperto, i due “segnali” in sughero per reti o per palamiti che sono stati usati quando i fratelli  andavano a pescare. Con relativa badierina bianca.

“Segnalano” , proprio perchè sono in cielo anzichè in mare,  il cambiamento che è avvenuto.

 

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Infine un abbeveratoio arcaico trovato nel bosco da Gianfranco, contadino poeta, altro fratello, sempre alla ricerca di cose vecchie ed abbandonate.  Francesco lo ha collocato accanto ai cerchi delle botti di una volta che ha ri-usato come  rinforzo alla staccionata in legno. Entrambi tracce di una cultura contadina che ha lasciato un segno indelebile, benchè parzialmente nascosto, dalla macchia mediterranea, cioè i terrazzamenti. I ciàn nel dialetto di Riomaggiore.

Di questa cultura, però non si salvaguardia la memoria, fatta anche di piccoli e fragili oggetti, che diventa quindi anche “cultura debole” di cui sarebbe dunque necessario prendersi cura.

Dentro questa “cultura debole”, però ci sono importanti conoscenze e know how di tipo idraulico, ingegneristico, fondamentali per la salvaguardia di questo territorio, fragile, da integrare con quella degli esperti che oggi se ne occupano.

Invece, semplicemente questa cultura operosa e sapiente viene dimenticata in quanto non se ne riesce a ricoscere il profondo valore, il “sapere dell’esperienza”.

Purtroppo, spesso, anche con le migliori intenzioni, “gli esperti” fanno danni se non  possono incrociare il loro sapere teorico con il sapere esperienziale, in questo caso, secolare.

Ed allora bandiera bianca.

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 Il salvagente è stato ri-utilizzato, forse per altre allegorie, ed allora Francesco ha rapidamente ri-elaborato creativamente lo spazio della griglia verde. Bandiere colorate nei “segnali” in sughero che diventano adesso tre.

   
   

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Collage di fine anno, la cantina, incontro di culture diverse.

Dopo tante dscrizioni del ciclo di produzione, tanti attimi restituiti quasi mentre succedono, un tentativo diverso. Un collage di foto scattate  in cantina, scelte  sulla base delle suggestioni che stimolano.

Roberto e Francesco in cantina, finalmente fermi per un attimo raccontano un mondo, quello della cultura contadina delle Cinque Terre.

IMG_6941Roberto e Francesco

Alcuni scorci della cantina che raccontano  un altro tipo di mondo che si incrocia con quello del lavoro contadino, il mondo della progettazione di interni, in questo caso la creazione  di spazi adatti alle nuove esigenze igienico sanitarie dei modi di produzionetradizionali. Forme nuove inserite, rispettose di quella storia, integrazione di  nuovi materiali giustapposti alle mure antiche della cantina, nessun fronzolo decorativo,  solo funzionalità aggiunta. Un dialogo fra nuovo ed antico. La presenza della bottiglia introduce il mondo della  grafica che riprende i colori dello Sciacchetrà e le forme del contesto naturale delle Cinque Terre.

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un angolo della cantina in via Gramsci
un angolo della cantina in via Gramsci

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Dare voce a una storia.

Questo montaggio si chiama: “dare voce a una storia”.   La storia è quella della cultura del lavoro nelle Cinque Terre che ha prodotto, in un tempo lunghissimo, un paesaggio tutto coltivato a vigna solo in quanto sorretto dai muretti a secco. Coltivato, a dispetto della sua caratteristica di continuo pendio, talvolta strapiombo. Nel sito Terra di Bargon, il racconto del ciclo di produzione dello Sciacchetrà è impresso nelle immagini del lavoro di Roberto nei ciàn (terrazzamenti) nel solco della tradizione millenaria.
In questo montaggio i gesti del passato e del presente si rispecchiano e si confermano dando voce ad una storia che occorre raccontare per non perdere la memoria dei gesti di cui è composta. Gesti ed oggetti fragili.

Sciacchetrà Terra di Bargòn, dare voce a una storia from Terra di Bargòn on Vimeo.

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Prendere coscienza del proprio territorio.

Andando a fare un giro nei ciàn (i terrazzamenti in dialetto) di Semura, una  attività costante di monitoraggio che svolge chi coltiva la terra,  abbiamo notato due cambiamenti recenti nel paesaggio. Si sono verificati  nei muretti di due diversi contesti fra loro vicini. Da questa prima osservazione sono  nate due riflessioni, cui fa seguito una proposta alla fine del post.

Il primo cambiamento è relativo ad un muretto a secco di contenimento delle vigne,  assediato  dalla macchia mediterranea, che  è crollato, probabilmente a causa della grande quantità di pioggia di questo strano inverno.

PRIMA: questo muretto, dopo essere stato pulito da Roberto era così

IMG_6463 DOPO:  non molto tempo fa, il muretto  è crollato sull’angolo e, nella parte ancora intonsa è ricresciuta  nuova vegetazione.IMG_7097

Da vicino si vede bene la quantità di lavoro che sarà necessaria per ricostruire il pezzo di muretto che è crollato..

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Ma intanto, guardando di fronte a noi, verso il mare, abbiamo notato un secondo, piccolo ma molto significativo, cambiamento nei muretti che sono invece i resti di antiche case in pietra.

PRIMA  (di recente) quel pezzo di  paesaggio era così  in quanto quel terreno, caratterizzato dalla presenza di muretti in pietra sia di contenimento che portanti di antichi rustici, era stato ripulito dalla macchia mediterranea che lo aveva invaso. E’ dunque stato possibile vederlo quasi fosse uno scavo archeologico, diventato così un pezzo di archeologia contadina.

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Colpisce la bellezza di quei resti di pietra nel  paesaggio, tracce inequivocabili di un tempo passato, una preziosa testimonianza, un monumento della memoria contadina di queste terre.

 

mantenimento, memoria

Da questa foto è nata una prima riflessione, si è capito che l’osservazione dello stato fisico e dell’uso sociale del territorio può contenere uno o più racconti. In questo caso è il racconto di quattro processi in atto contemporaneamente, appena  prima che se ne avii un quinto.

In primo piano, il racconto di un lavoro di mantenimento del paesaggio che avviene con  la coltivazione tradizionale di una vigna “a pergolo”. Nello sfondo il racconto, in divenire, di una traccia di memoria in pietra  che emerge dalla boscaglia da cui è appena stata estratta.  Il tutto  inserito in una cornice di macchia mediterranea che continua a svilupparsi  nascondendo mano a mano  la trama esistente dei ciàn. Ciàn che  una volta erano tutti coltivati ed ora sono stati abbandonati da tempo, insieme  ad altri manufatti in pietra: questo è il racconto dell’abbandono della terra.

In alto all’estrema sinistra, un quarto racconto, abbastanza recente.  Guardando con attenzione  si può notare un pezzo di un grosso ciàn  coltivato non più “a pergolo”, ma a filare. Si capisce dalla regolarità della trama della vigna. E’ il racconto di  un cambiamento volto a mantenere  la coltivazione della vigna, rendendone però più facile la  coltivazione per il contadino.

 

 

segni forti della memoria

Sul primo racconto, quello della coltivazione nel solco della tradizione, sia il sito  che questo blog, che lo aggiorna, raccontano in dettaglio le varie fasi del ciclo di produzione dello Sciacchetrà che ancora oggi Roberto segue nel solco della tradizione. Per quanto riguarda il secondo racconto, è stato possibile un avvicinamento ai resti in pietra, grazie ad un  lungo un sentiero,  tutto dentro la macchia mediterranea. Percorrerlo è stata un’esperienza quasi magica,  camminare su un percorso di pietre formidabile per dimensione e per perizia, che allude ad un uso umano cospicuo; invece siamo soli, completamente immersi in una silenziosa e potente natura, odorosa di salmastro e di erbe selvatiche. Anche il sentiero è appena stato ripulito, sottratto alla vegetazione e reso percorribile.  Siamo così giunti fino alla trama forte costituita dai  muretti in pietra, armonicamente incarnata nel declivio del terreno. Ci siamo trovati in contatto fisico ravvicinato con la memoria  che inevitabilmente questi sassi evocano, sperimentando un’ emozione  forte mista ad  ammirazione e rispetto verso le generazioni che ci hanno preceduto.

Un monumento alla fatica,  alla tenacia e ad una grande capacità di ingegneria idraulica e civile.

una casetta in pietra

Così abbiamo anche potuto vedere da vicino  questa meraviglia di proporzioni, la straordinaria capacità di utilizzo dell’unico materiale disponibile, la pietra ed i sassi,  l’armonioso  inserimento nel paesaggio.

Ii cambiamenti in corso

Ma ecco, qualche tempo dopo  il quinto cambiamento che si palesa.

Un cambiamento che è in corso, un segnale apparentemente modesto, ma che racconta di un cambiamento che sarà certamente  significativo. La pulizia di quel terreno che ha fatto emergere   tracciati in pietra così forti e la rimessa in uso  del sentiero per raggiungerlo, sono state opera di chi ha deciso di recuperare i rustici esistenti, certamente in ottemperanza alle indicazioni della commissione paesaggistica.

La seconda riflessione,  nasce da questa esperienza diretta,  è la constatazione che  questa comunità locale e le sue istituzioni non sono riuscite, nel tempo, a elaborare una strategia evolutiva per il governo di questo straordinario territorio. La sfida è quella di rilanciare  l’attività primaria della coltivazione delle vigne (pur nelle modaltà oggi più consone, meno faticose e adeguatamente remunerative). Ma potrebbe anche essere quella di  progettare  un riuso dei rustici più significativi  per  salvaguardare e valorizzare la memoria di un passato fatto di fatica e portatore di una cultura del lavoro. Per creare luoghi di sosta lontani dalla congestione che si viene a creare, al contempo ricchi di informazioni e di suggestioni. Un progetto  con una visione d’insieme per raggiungere anche visitatori curiosi,  che oggi arrivano in massa in gran parte attratti dal “mito” di questo passato che però non è materialmente molto fruibile.

La proposta.

Il paesaggio  alle Cinque Terre, come altrove, cambia continuamente senza che  ne siamo pienamente  consapevoli, e con esso la memoria della sua cultura contadina.

La costituzione di un ecomuseo rurale sarebbe un buon modo per non perdere completamente i segni sul territorio di questa memoria così importante e al contempo così fragile. Così come Sebastiao Salgado stà fotografando le popolazioni che vivono nei posti più nascosti del mondo, destinate a sparire, per lasciarne una traccia almeno fotografica per l’umanità, così bisognerebbe documentare almeno gli ultimi  segni che restano sul territorio di questa civiltà contadina oggi in via di estinzione.

Un progetto di ecomuseo esperienziale, aperto che si alimenta  e si sviluppa con il contributo diretto degli abitanti delle Cinque Terre,  secondo la moderna concezione  di museo “diffuso” mirato sopratutto ai giovani. Per la realizzazione di ecomusei, esistono  linee guida europee ed anche leggi prodotte da alcune regioni taliane. Ci sono esperienze di vario tipo. Risulta interessante a nostro avviso  la metodologia  anche di altre esperienze in corso pur se queste non sono necessariamente rurali.

Oggi alle Cinque Terre prendere coscienza del proprio territorio significa frequentarlo, conoscerlo, ripensarlo con creatività.  Quello che una volta era il centro dell’attività lavorativa è oggi paragonabile ad una periferia urbana  nel senso della perdita di significato sociale, un luogo non vissuto. L’archeologia contadina, che nei ciàn è dispersa, può essere paragonata alll’archeologia industriale,  entrambe  fanno riferimento ad una cultura del lavoro che sembrerebbe destinata ad estinguersi.   Rappresentano  una tappa importante dello  sviluppo del nostro Paese, esprimono valori materiali ed immateriali,  come tali vanno tutelati e valorizzati.