Andando a fare un giro nei ciàn (i terrazzamenti in dialetto) di Semura, una attività costante di monitoraggio che svolge chi coltiva la terra, abbiamo notato due cambiamenti recenti nel paesaggio. Si sono verificati nei muretti di due diversi contesti fra loro vicini. Da questa prima osservazione sono nate due riflessioni, cui fa seguito una proposta alla fine del post.
Il primo cambiamento è relativo ad un muretto a secco di contenimento delle vigne, assediato dalla macchia mediterranea, che è crollato, probabilmente a causa della grande quantità di pioggia di questo strano inverno.
PRIMA: questo muretto, dopo essere stato pulito da Roberto era così
DOPO: non molto tempo fa, il muretto è crollato sull’angolo e, nella parte ancora intonsa è ricresciuta nuova vegetazione.
Da vicino si vede bene la quantità di lavoro che sarà necessaria per ricostruire il pezzo di muretto che è crollato..
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Ma intanto, guardando di fronte a noi, verso il mare, abbiamo notato un secondo, piccolo ma molto significativo, cambiamento nei muretti che sono invece i resti di antiche case in pietra.
PRIMA (di recente) quel pezzo di paesaggio era così in quanto quel terreno, caratterizzato dalla presenza di muretti in pietra sia di contenimento che portanti di antichi rustici, era stato ripulito dalla macchia mediterranea che lo aveva invaso. E’ dunque stato possibile vederlo quasi fosse uno scavo archeologico, diventato così un pezzo di archeologia contadina.
Colpisce la bellezza di quei resti di pietra nel paesaggio, tracce inequivocabili di un tempo passato, una preziosa testimonianza, un monumento della memoria contadina di queste terre.
Da questa foto è nata una prima riflessione, si è capito che l’osservazione dello stato fisico e dell’uso sociale del territorio può contenere uno o più racconti. In questo caso è il racconto di quattro processi in atto contemporaneamente, appena prima che se ne avii un quinto.
In primo piano, il racconto di un lavoro di mantenimento del paesaggio che avviene con la coltivazione tradizionale di una vigna “a pergolo”. Nello sfondo il racconto, in divenire, di una traccia di memoria in pietra che emerge dalla boscaglia da cui è appena stata estratta. Il tutto inserito in una cornice di macchia mediterranea che continua a svilupparsi nascondendo mano a mano la trama esistente dei ciàn. Ciàn che una volta erano tutti coltivati ed ora sono stati abbandonati da tempo, insieme ad altri manufatti in pietra: questo è il racconto dell’abbandono della terra.
In alto all’estrema sinistra, un quarto racconto, abbastanza recente. Guardando con attenzione si può notare un pezzo di un grosso ciàn coltivato non più “a pergolo”, ma a filare. Si capisce dalla regolarità della trama della vigna. E’ il racconto di un cambiamento volto a mantenere la coltivazione della vigna, rendendone però più facile la coltivazione per il contadino.
Sul primo racconto, quello della coltivazione nel solco della tradizione, sia il sito che questo blog, che lo aggiorna, raccontano in dettaglio le varie fasi del ciclo di produzione dello Sciacchetrà che ancora oggi Roberto segue nel solco della tradizione. Per quanto riguarda il secondo racconto, è stato possibile un avvicinamento ai resti in pietra, grazie ad un lungo un sentiero, tutto dentro la macchia mediterranea. Percorrerlo è stata un’esperienza quasi magica, camminare su un percorso di pietre formidabile per dimensione e per perizia, che allude ad un uso umano cospicuo; invece siamo soli, completamente immersi in una silenziosa e potente natura, odorosa di salmastro e di erbe selvatiche. Anche il sentiero è appena stato ripulito, sottratto alla vegetazione e reso percorribile. Siamo così giunti fino alla trama forte costituita dai muretti in pietra, armonicamente incarnata nel declivio del terreno. Ci siamo trovati in contatto fisico ravvicinato con la memoria che inevitabilmente questi sassi evocano, sperimentando un’ emozione forte mista ad ammirazione e rispetto verso le generazioni che ci hanno preceduto.
Un monumento alla fatica, alla tenacia e ad una grande capacità di ingegneria idraulica e civile.
Così abbiamo anche potuto vedere da vicino questa meraviglia di proporzioni, la straordinaria capacità di utilizzo dell’unico materiale disponibile, la pietra ed i sassi, l’armonioso inserimento nel paesaggio.
Ma ecco, qualche tempo dopo il quinto cambiamento che si palesa.
Un cambiamento che è in corso, un segnale apparentemente modesto, ma che racconta di un cambiamento che sarà certamente significativo. La pulizia di quel terreno che ha fatto emergere tracciati in pietra così forti e la rimessa in uso del sentiero per raggiungerlo, sono state opera di chi ha deciso di recuperare i rustici esistenti, certamente in ottemperanza alle indicazioni della commissione paesaggistica.
La seconda riflessione, nasce da questa esperienza diretta, è la constatazione che questa comunità locale e le sue istituzioni non sono riuscite, nel tempo, a elaborare una strategia evolutiva per il governo di questo straordinario territorio. La sfida è quella di rilanciare l’attività primaria della coltivazione delle vigne (pur nelle modaltà oggi più consone, meno faticose e adeguatamente remunerative). Ma potrebbe anche essere quella di progettare un riuso dei rustici più significativi per salvaguardare e valorizzare la memoria di un passato fatto di fatica e portatore di una cultura del lavoro. Per creare luoghi di sosta lontani dalla congestione che si viene a creare, al contempo ricchi di informazioni e di suggestioni. Un progetto con una visione d’insieme per raggiungere anche visitatori curiosi, che oggi arrivano in massa in gran parte attratti dal “mito” di questo passato che però non è materialmente molto fruibile.
La proposta.
Il paesaggio alle Cinque Terre, come altrove, cambia continuamente senza che ne siamo pienamente consapevoli, e con esso la memoria della sua cultura contadina.
La costituzione di un ecomuseo rurale sarebbe un buon modo per non perdere completamente i segni sul territorio di questa memoria così importante e al contempo così fragile. Così come Sebastiao Salgado stà fotografando le popolazioni che vivono nei posti più nascosti del mondo, destinate a sparire, per lasciarne una traccia almeno fotografica per l’umanità, così bisognerebbe documentare almeno gli ultimi segni che restano sul territorio di questa civiltà contadina oggi in via di estinzione.
Un progetto di ecomuseo esperienziale, aperto che si alimenta e si sviluppa con il contributo diretto degli abitanti delle Cinque Terre, secondo la moderna concezione di museo “diffuso” mirato sopratutto ai giovani. Per la realizzazione di ecomusei, esistono linee guida europee ed anche leggi prodotte da alcune regioni taliane. Ci sono esperienze di vario tipo. Risulta interessante a nostro avviso la metodologia anche di altre esperienze in corso pur se queste non sono necessariamente rurali.
Oggi alle Cinque Terre prendere coscienza del proprio territorio significa frequentarlo, conoscerlo, ripensarlo con creatività. Quello che una volta era il centro dell’attività lavorativa è oggi paragonabile ad una periferia urbana nel senso della perdita di significato sociale, un luogo non vissuto. L’archeologia contadina, che nei ciàn è dispersa, può essere paragonata alll’archeologia industriale, entrambe fanno riferimento ad una cultura del lavoro che sembrerebbe destinata ad estinguersi. Rappresentano una tappa importante dello sviluppo del nostro Paese, esprimono valori materiali ed immateriali, come tali vanno tutelati e valorizzati.