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Vigna, fichi d’ India e rose.

Vigna e fichi d'India

La grande diffusione di fichi d’India nelle Cinque Terre dipenda dal fatto che una volta, quando non era possibile bagnare le vigne, i  frutti venivano triturati e messi in una serie di buche intorno alla vigna per fornire un minimo apporto idrico. E’ una osservazione di Fulvio, fratello di Roberto, fatta quasi per caso. Quante cose racconta questo piccolo aneddoto: in ordine casuale, l’essenzialità della vigna nell’economia locale, l’impossibilità di bagnare la vigna, la scoperta, avvenuta chissà quando di poter sfruttare la caratteristica di questo particolare frutto per le esigenze della vigna. La sua conseguente piantumazione vicino alle vigne.
Altra pianta che veniva utilizzata in funzione della protezione della vigna era la rosa che si ammala di oidio prima della vigna e che quindi veniva anch’essa piantumata, in questo caso  all’inizio dei filari.

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Un “pagitu” speciale.

La famiglia di Roberto è costituita da sei fratelli, quindi qualche nipote partecipa alla vendemmia. Fra questi Gae. Per vendemmiare Gae usa il “pagitu” che gli aveva confezionato sua madre. Un “pagitu”con una protezione speciale per proteggere il collo dal carico costituto dalla ” corba” piena di uva, peso stimato 25 kg.

In questo caso la protezione è invece  molto consistente e  si mantiene nel tempo come si puó vedere nelle foto che seguono. Il “pagitu” di norma veniva solo riempito di foglie.


  

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Segnali artistici di un cambiamento avvenuto.

Il ri-uso è una caratteristica della cultura ligure, Francesco, un0 dei fratello di Roberto, interpreta il ri-uso di quanto arriva a Bargòn, cioè  molto di quanto non viene più usato, ed anche altro, in una forma artistica. Osservando questi manufatti,  sorta di “collage” all’aria aperta, semplicemente identificando le  componenti che li compongono, è possibile intuire un loro significato e forse un racconto di vita.

Nella prima foto qui sotto: una nassa,  materialmente fatta da Giancarlo, un altro fratello,  che serviva per la pesca di saraghi, polpi , aragoste  quando i fratelli andavano apescare. Oltre ad appenderla al muretto di sassi, Francesco vi ha inserito  delle conchiglie.

Si potrebbe dire che  l’uso della nassa si è trasformato simbolicamente da strumento di pesca a contenitore di “contenitori di pesce”,  di molluschi. Ed anche, in un certo senso, i gusci sono  sassi che sono stati giustapposti  ai sassi del muretto.

Si allude forse ad un uso della nassa che i tanti nipotini di una famiglia numerosa che passano talvolta da Bargòn forse non impareranno dai loro genitori, una sorta di racconto?
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Nella seconda foto alcune reti di ferro verde sono state usate per esporre vari oggetti di mare. In zona centrale un salvagente di ordinanza da barca, a destra  un paraurti marino con sotto un motore da barca ed a sinistra  un altro oggetto del mare, però antico.

Possibile metafora: la rete appoggia sul muretto di sassi, la barca va sul mare, due tipi di attività importanti  di una volta alle Cinque Terre, una natura difficile , ma anche con tante possibilità: lavorare la terra e pescare.

Improvvisamente tutto è cambiato, quella sui muretti di sassi è quasi una ritirata da una realtà odierna; forse dalla marina, oggi del tutto irriconoscibile per chi ha vissuto questa cultura operosa tutta la vita.

 

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Svettano in cielo anzichè in mare aperto, i due “segnali” in sughero per reti o per palamiti che sono stati usati quando i fratelli  andavano a pescare. Con relativa badierina bianca.

“Segnalano” , proprio perchè sono in cielo anzichè in mare,  il cambiamento che è avvenuto.

 

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Infine un abbeveratoio arcaico trovato nel bosco da Gianfranco, contadino poeta, altro fratello, sempre alla ricerca di cose vecchie ed abbandonate.  Francesco lo ha collocato accanto ai cerchi delle botti di una volta che ha ri-usato come  rinforzo alla staccionata in legno. Entrambi tracce di una cultura contadina che ha lasciato un segno indelebile, benchè parzialmente nascosto, dalla macchia mediterranea, cioè i terrazzamenti. I ciàn nel dialetto di Riomaggiore.

Di questa cultura, però non si salvaguardia la memoria, fatta anche di piccoli e fragili oggetti, che diventa quindi anche “cultura debole” di cui sarebbe dunque necessario prendersi cura.

Dentro questa “cultura debole”, però ci sono importanti conoscenze e know how di tipo idraulico, ingegneristico, fondamentali per la salvaguardia di questo territorio, fragile, da integrare con quella degli esperti che oggi se ne occupano.

Invece, semplicemente questa cultura operosa e sapiente viene dimenticata in quanto non se ne riesce a ricoscere il profondo valore, il “sapere dell’esperienza”.

Purtroppo, spesso, anche con le migliori intenzioni, “gli esperti” fanno danni se non  possono incrociare il loro sapere teorico con il sapere esperienziale, in questo caso, secolare.

Ed allora bandiera bianca.

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 Il salvagente è stato ri-utilizzato, forse per altre allegorie, ed allora Francesco ha rapidamente ri-elaborato creativamente lo spazio della griglia verde. Bandiere colorate nei “segnali” in sughero che diventano adesso tre.

   
   

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Dare voce a una storia.

Questo montaggio si chiama: “dare voce a una storia”.   La storia è quella della cultura del lavoro nelle Cinque Terre che ha prodotto, in un tempo lunghissimo, un paesaggio tutto coltivato a vigna solo in quanto sorretto dai muretti a secco. Coltivato, a dispetto della sua caratteristica di continuo pendio, talvolta strapiombo. Nel sito Terra di Bargon, il racconto del ciclo di produzione dello Sciacchetrà è impresso nelle immagini del lavoro di Roberto nei ciàn (terrazzamenti) nel solco della tradizione millenaria.
In questo montaggio i gesti del passato e del presente si rispecchiano e si confermano dando voce ad una storia che occorre raccontare per non perdere la memoria dei gesti di cui è composta. Gesti ed oggetti fragili.

Sciacchetrà Terra di Bargòn, dare voce a una storia from Terra di Bargòn on Vimeo.

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Trattamento delle vigne con lo zolfo in polvere, la prima fase

La preparazione dello “strumento di lavoro”.

Cosa si utilizza: prima di tutto occorre procurarsi una canna molto lunga.  Sulle sponde del rio che scorre ai piedi dei ciàn le canne crescono spontaneamente e quindi questo non è un problema.

ciclo di produzione

canneLa seconda componente è costituita da un sacchetto, con una trama larga, in questo caso è stato “dalla Gentile”, la madre dei fratelli Bonfiglio, in iuta o tela di sacco.

Nella foto qui sotto ci sono alcuni sacchetti montati su un cerchio di botte con l’intento di creare una sorta di scultura.

sacchetti di iuta per lo zolfo

Primo passo per la realizzazione del manufatto: ( in questo caso letteralmente fatto a mano!): primo,  attaccare il sacchetto sulla cima della canna (qui, con alle spalle una maschera in legno di origini incerte)IMG_1957IMG_1959

 

poi si deve mette lo zolfo in polvere nel sacchettoIMG_1971IMG_1967IMG_1966

 

Per facilitare l’uscita della povere di zolfo dal sacchetto vanno messi dei piccoli sassi.

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