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Dare voce a una storia.

Questo montaggio si chiama: “dare voce a una storia”.   La storia è quella della cultura del lavoro nelle Cinque Terre che ha prodotto, in un tempo lunghissimo, un paesaggio tutto coltivato a vigna solo in quanto sorretto dai muretti a secco. Coltivato, a dispetto della sua caratteristica di continuo pendio, talvolta strapiombo. Nel sito Terra di Bargon, il racconto del ciclo di produzione dello Sciacchetrà è impresso nelle immagini del lavoro di Roberto nei ciàn (terrazzamenti) nel solco della tradizione millenaria.
In questo montaggio i gesti del passato e del presente si rispecchiano e si confermano dando voce ad una storia che occorre raccontare per non perdere la memoria dei gesti di cui è composta. Gesti ed oggetti fragili.

Sciacchetrà Terra di Bargòn, dare voce a una storia from Terra di Bargòn on Vimeo.

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Sfogliare le viti a Bargòn. “Sfugiaa”

Roberto sfoglia le viti di Bargòn seguendo un criterio analogo a quello di Tomaso di Forti del vento, anche se  in un contesto territoriale molto diverso: quello delle Cinque Terre L’unica differenza è che la parete di foglie, con la coltivazione a pergola “auteidu” in dialetto,  si presenta in orizzontale.
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Una scia di foglie cade a terra

 

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I vitigni dello Sciacchetrà aggiornato con la risposta al test!

Spesso chi ci visita in cantina ci chiede di quali vitigni sia fatto lo Sciacchetrà: ecco come si presentano  i grappoli maturi:

 

ecco un grappolo di vermentino

vermentino grappolo

un grappolo di boscobosco grappolo

e infine un grappolo di albarolaalbarola

Piccolo test che tipo di vitigno è questo?

filare al soleP1010328

Più preciamente, grazie a Gianfranco (in nostro enologo) ecco Roberto in contatto diretto con i grappoli di Vermentino!Roberto e albarola

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Prendere coscienza del proprio territorio.

Andando a fare un giro nei ciàn (i terrazzamenti in dialetto) di Semura, una  attività costante di monitoraggio che svolge chi coltiva la terra,  abbiamo notato due cambiamenti recenti nel paesaggio. Si sono verificati  nei muretti di due diversi contesti fra loro vicini. Da questa prima osservazione sono  nate due riflessioni, cui fa seguito una proposta alla fine del post.

Il primo cambiamento è relativo ad un muretto a secco di contenimento delle vigne,  assediato  dalla macchia mediterranea, che  è crollato, probabilmente a causa della grande quantità di pioggia di questo strano inverno.

PRIMA: questo muretto, dopo essere stato pulito da Roberto era così

IMG_6463 DOPO:  non molto tempo fa, il muretto  è crollato sull’angolo e, nella parte ancora intonsa è ricresciuta  nuova vegetazione.IMG_7097

Da vicino si vede bene la quantità di lavoro che sarà necessaria per ricostruire il pezzo di muretto che è crollato..

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Ma intanto, guardando di fronte a noi, verso il mare, abbiamo notato un secondo, piccolo ma molto significativo, cambiamento nei muretti che sono invece i resti di antiche case in pietra.

PRIMA  (di recente) quel pezzo di  paesaggio era così  in quanto quel terreno, caratterizzato dalla presenza di muretti in pietra sia di contenimento che portanti di antichi rustici, era stato ripulito dalla macchia mediterranea che lo aveva invaso. E’ dunque stato possibile vederlo quasi fosse uno scavo archeologico, diventato così un pezzo di archeologia contadina.

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Colpisce la bellezza di quei resti di pietra nel  paesaggio, tracce inequivocabili di un tempo passato, una preziosa testimonianza, un monumento della memoria contadina di queste terre.

 

mantenimento, memoria

Da questa foto è nata una prima riflessione, si è capito che l’osservazione dello stato fisico e dell’uso sociale del territorio può contenere uno o più racconti. In questo caso è il racconto di quattro processi in atto contemporaneamente, appena  prima che se ne avii un quinto.

In primo piano, il racconto di un lavoro di mantenimento del paesaggio che avviene con  la coltivazione tradizionale di una vigna “a pergolo”. Nello sfondo il racconto, in divenire, di una traccia di memoria in pietra  che emerge dalla boscaglia da cui è appena stata estratta.  Il tutto  inserito in una cornice di macchia mediterranea che continua a svilupparsi  nascondendo mano a mano  la trama esistente dei ciàn. Ciàn che  una volta erano tutti coltivati ed ora sono stati abbandonati da tempo, insieme  ad altri manufatti in pietra: questo è il racconto dell’abbandono della terra.

In alto all’estrema sinistra, un quarto racconto, abbastanza recente.  Guardando con attenzione  si può notare un pezzo di un grosso ciàn  coltivato non più “a pergolo”, ma a filare. Si capisce dalla regolarità della trama della vigna. E’ il racconto di  un cambiamento volto a mantenere  la coltivazione della vigna, rendendone però più facile la  coltivazione per il contadino.

 

 

segni forti della memoria

Sul primo racconto, quello della coltivazione nel solco della tradizione, sia il sito  che questo blog, che lo aggiorna, raccontano in dettaglio le varie fasi del ciclo di produzione dello Sciacchetrà che ancora oggi Roberto segue nel solco della tradizione. Per quanto riguarda il secondo racconto, è stato possibile un avvicinamento ai resti in pietra, grazie ad un  lungo un sentiero,  tutto dentro la macchia mediterranea. Percorrerlo è stata un’esperienza quasi magica,  camminare su un percorso di pietre formidabile per dimensione e per perizia, che allude ad un uso umano cospicuo; invece siamo soli, completamente immersi in una silenziosa e potente natura, odorosa di salmastro e di erbe selvatiche. Anche il sentiero è appena stato ripulito, sottratto alla vegetazione e reso percorribile.  Siamo così giunti fino alla trama forte costituita dai  muretti in pietra, armonicamente incarnata nel declivio del terreno. Ci siamo trovati in contatto fisico ravvicinato con la memoria  che inevitabilmente questi sassi evocano, sperimentando un’ emozione  forte mista ad  ammirazione e rispetto verso le generazioni che ci hanno preceduto.

Un monumento alla fatica,  alla tenacia e ad una grande capacità di ingegneria idraulica e civile.

una casetta in pietra

Così abbiamo anche potuto vedere da vicino  questa meraviglia di proporzioni, la straordinaria capacità di utilizzo dell’unico materiale disponibile, la pietra ed i sassi,  l’armonioso  inserimento nel paesaggio.

Ii cambiamenti in corso

Ma ecco, qualche tempo dopo  il quinto cambiamento che si palesa.

Un cambiamento che è in corso, un segnale apparentemente modesto, ma che racconta di un cambiamento che sarà certamente  significativo. La pulizia di quel terreno che ha fatto emergere   tracciati in pietra così forti e la rimessa in uso  del sentiero per raggiungerlo, sono state opera di chi ha deciso di recuperare i rustici esistenti, certamente in ottemperanza alle indicazioni della commissione paesaggistica.

La seconda riflessione,  nasce da questa esperienza diretta,  è la constatazione che  questa comunità locale e le sue istituzioni non sono riuscite, nel tempo, a elaborare una strategia evolutiva per il governo di questo straordinario territorio. La sfida è quella di rilanciare  l’attività primaria della coltivazione delle vigne (pur nelle modaltà oggi più consone, meno faticose e adeguatamente remunerative). Ma potrebbe anche essere quella di  progettare  un riuso dei rustici più significativi  per  salvaguardare e valorizzare la memoria di un passato fatto di fatica e portatore di una cultura del lavoro. Per creare luoghi di sosta lontani dalla congestione che si viene a creare, al contempo ricchi di informazioni e di suggestioni. Un progetto  con una visione d’insieme per raggiungere anche visitatori curiosi,  che oggi arrivano in massa in gran parte attratti dal “mito” di questo passato che però non è materialmente molto fruibile.

La proposta.

Il paesaggio  alle Cinque Terre, come altrove, cambia continuamente senza che  ne siamo pienamente  consapevoli, e con esso la memoria della sua cultura contadina.

La costituzione di un ecomuseo rurale sarebbe un buon modo per non perdere completamente i segni sul territorio di questa memoria così importante e al contempo così fragile. Così come Sebastiao Salgado stà fotografando le popolazioni che vivono nei posti più nascosti del mondo, destinate a sparire, per lasciarne una traccia almeno fotografica per l’umanità, così bisognerebbe documentare almeno gli ultimi  segni che restano sul territorio di questa civiltà contadina oggi in via di estinzione.

Un progetto di ecomuseo esperienziale, aperto che si alimenta  e si sviluppa con il contributo diretto degli abitanti delle Cinque Terre,  secondo la moderna concezione  di museo “diffuso” mirato sopratutto ai giovani. Per la realizzazione di ecomusei, esistono  linee guida europee ed anche leggi prodotte da alcune regioni taliane. Ci sono esperienze di vario tipo. Risulta interessante a nostro avviso  la metodologia  anche di altre esperienze in corso pur se queste non sono necessariamente rurali.

Oggi alle Cinque Terre prendere coscienza del proprio territorio significa frequentarlo, conoscerlo, ripensarlo con creatività.  Quello che una volta era il centro dell’attività lavorativa è oggi paragonabile ad una periferia urbana  nel senso della perdita di significato sociale, un luogo non vissuto. L’archeologia contadina, che nei ciàn è dispersa, può essere paragonata alll’archeologia industriale,  entrambe  fanno riferimento ad una cultura del lavoro che sembrerebbe destinata ad estinguersi.   Rappresentano  una tappa importante dello  sviluppo del nostro Paese, esprimono valori materiali ed immateriali,  come tali vanno tutelati e valorizzati.

 

 

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Un’attività corale in cantina: si imbottiglia.

Siamo alla conclusione del ciclo di produzione, che mai si ferma e che continuamente si rinnova per arrivare a produrre lo Sciacchetrà: l’imbottigliamento si svolge dopo l’affinamento dello Sciacchetrà sui propri lieviti  per almeno 20 mesi nelle botti d’acciaio.
E’ una fase corale quella che si ripete nella piccola cantina in via Gramsci, oltre a Francesco, il più assiduo dei fratelli ad aiutare Roberto nelle fasi che lo richiedono, ci sono Gianfranco il nostro prezioso enologo e Sergio l’esperto di “macchinari”.

Mani amiche che insieme si coordinano per svolgere al meglio una fase molto delicata dell’intero ciclo di produzione.
Occorre coordinare il flusso del passaggio dello Sciacchetrà dalle botti ai filtri ed infine all’imbottigliatrice. I filtri vanno  prima puliti e risciacquati, poi si imbottiglia, si  tappare e si stoccano le bottiglie  nelle apposite gabbie d’acciaio.

 

Roberto e Gianfranco enologo


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